IMMORTALI APPLICATI ALLA MEGALOPOLI PADANA

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Un architetto olandese, N.J. Habraken, nel 1961 scriveva “I lavoratori vedono nella spaventosa monotonia di file sconfinate di case tutte uguali, un attentato alla loro personalità, alla loro libertà, alla loro stessa natura umana; questo genere di case cambia una persona in un animal da gregge, gli toglie ogni libertà, lo rende incapace di prendere decisioni”. Se aggiorniamo la parola “lavoratori” con la locuzione “ceto medio”, ci rendiamo conto che oggi la situazione non è molto cambiata. Nella cosiddetta Megalpoli Padana (definizione di Eugenio Turri) assistiamo alla crescita incontrollata di villette-copia che stanno saturando ad una velocità incredibile il territorio.

Sono gli equivalenti di una edilizia di bassa qualità che ha deturpato le nostre città. Chi vi scrive al 90% andrà a vivere proprio in case del genere, quando avrà finito di affittare stanze in case da studenti. Ammesso che non faccia un bel po’ di soldi, cosa allo stato attuale da ritenere altamente improbabile (beh per dirla tutta, se continua così anche la casettina a schiera mi sogno…). Questa speculazione edilizia legalizzata sta distruggendo le relazioni fra aree residenziali e industriali. È in corso, sotto i nostri occhi, un cortocircuito tra ambiente e uomo. Se nel primo novecento abbiamo dovuto affrontare il problema di enormi travasi di popolazione tra città e campagna, quando la priorità era sfornare “case per tutti”, se nella seconda metà del novecento ci siamo trovati ad affrontare fenomeni sempre più grandi di fuga dalle città, di vittoria del privato sul fare comunità (anni ottanta docet) con eccessi di frammentazione, perché non possiamo immaginare un inizio di terzo millennio all’insegna della compartecipazione senza derive comunitaristiche?. Detto in altri termini: come spesso accade dopo eccessi in un senso, si subiscono risposte sopra le righe nell’altro. Forse sarebbe il caso di trovare un equilibrio prima che la nostra megalopoli rimanga avvolta in una nuvola di smog con qualche pregiato centro storico, qualche sobborgo residenziali chic e una massa di villette mediocri incapaci di rendere l’individuo indipendente dall’esterno e incapace di creare nuove comunità dotate di servizi all’altezza dei tempi.

Sempre Habraken scriveva “Forse può suonare un po’ retorico dire che volgiamo dare al contesto una forma che rifletta le esigenze dell’uomo e alla città una organizzazione che esprima le esigenze della popolazione che vi abita.” Suono retorico anche oggi, però l’esigenza rimane tutta.

 

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